Anniversario della morte di Ezia Fiorentino Celebrazione della V domenica di Quaresima 2 aprile 2017.

Celebrazione della V domenica di Quaresima 2 aprile 2017

 

 Questione di vita o di morte

1. Preferiamo non pensarci.

Ci sono molti modi per evitare di pensare alle cose serie. Discutere di tutto, inseguire ogni novità e aggiornamento, essere in ansia per molte minuzie, riempire il tempo di molte occupazioni. Evitare il silenzio: preferire la musica, ma anche il rumore, piuttosto che il silenzio; stare in compagnia, per quanto possa essere antipatica e noiosa, cercare compagnia per quanto virtuale, attraverso messaggi e telefonate, piuttosto che stare da soli.

Preferiamo non pensare a certe cose e persino pronunciare certe parole è di cattivo gusto. Non sta bene neppure dire: “Lazzaro, il mio amico, è morto”, perciò si dice piuttosto: “è scomparso, se ne è andato, ha concluso i suoi giorni”.

 

2. Ma siamo o non siamo condannati a morte?

Il fatto di non pensarci, la distrazione e la superficialità, quel modo di parlare che elimina dal vocabolario le parole antipatiche non elimina il problema, consente però di non affrontarlo, di vivere facendo finta che non esiste. Si può vivere allegri, si può vivere angosciati da molte cose da poco, si può essere impegnati in molte cose buone che riempiono la giornata.
Ma fino a quando si può evitare la domanda: ma siamo o non siamo condannati a morte?

 

3. Preferiamo la rassegnazione?

E meglio evitare la domanda, perché si sa già la risposta. L’uomo del nostro tempo – che sa tutto e ha già capito tutto e ha già deciso che cosa si può capire e che cosa non vale la pena di sapere quest’uomo sa già la risposta alla grande domanda: sì, siamo condannati a morte! Sì, là in fondo alla strada ci attende la vecchia signora che non si lascia commuovere da nessuno e non lascia passare nessuno! Sì, è evidente, non c’è via d’uscita: tutti dobbiamo morire. Perciò cerchiamo di vivere meglio che possiamo questo poco tempo che abbiamo, poi sarà quello che deve essere e ci mettiamo sopra una pietra. L’uomo del nostro tempo sembra preferire rassegnarsi a morire piuttosto che sperare di vivere. L’uomo del nostro tempo preferisce le cattive notizie alla buona notizia; preferisce lasciarsi avvolgere dalla tristezza piuttosto che accogliere la gioia. L’uomo del nostro tempo assomiglia un po’ ai capi dei sacerdoti e ai farisei che piuttosto che rallegrarsi perché un morto è risuscitato decidono di mandare a morte anche colui che dà la vita!

 

4. Testimoni della risurrezione.

Perciò la missione dei discepoli di Gesù incontra diffidenza e indifferenza. Forse i cristiani sono apprezzati finché si danno da fare per qualche opera buona, quando cercano di mettere una pezza a una società che come un vestito logoro si stratta da una parte e dall’altra. Ma quando parlano dell’essenziale del messaggio di Gesù sperimentano di essere condannati al ridicolo: “su questo ti sentiremo un’altra volta” (cfr. At 17,32)!

Ma i discepoli di Gesù non possono tacere: per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe ci ha fatti rivivere con Cristo … con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù.

 

Come daranno testimonianza?

Gli istituti secolari, secondo l’intuizione che Ezia Fiorentino ha fatta propria hanno una loro specifica modalità di dare testimonianza nel concreto del vissuto quotidiano: non solo con attività di apostolato esplicito, non solo con discorsi e con la partecipazione alla vita delle comunità in cui vivono. Piuttosto praticando un vissuto trasfigurato che possa essere persuasivo o forse anche provocatorio per chi incontra le consacrate nelle strade della città, nelle attività ordinarie del lavoro, della salute, della malattia, della giovinezza e della vecchiaia.

La testimonianza della risurrezione rivela che siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo (Ef 2,10).

 

Quali sono queste opere buone preparate da Dio?

Sono certamente le opere di misericordia che occupano tanta parte del nostro tempo. E tuttavia pare che qualche volta risplendano poco, e il giudizio spontaneo che molti esprimono sulla vita ordinaria rileva il male, denuncia i problemi, segnala drammi. I figli della risurrezione hanno la responsabilità di far risplendere la misericordia perché tutti ne siano consolati.

Lo splendore della misericordia è la gioia.

Lo splendore della misericordia è la qualità dei rapporti.

Lo splendore della misericordia è la franchezza della parola, che argomenta, che spiega, che aiuta tutti ad aprire gli occhi per vedere la gloria di Dio che riempie la terra.